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New York 19 Giugno 2020

Film completo qui: Red Nightmare(1962)

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New York 19 Giugno 2020

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New York – Giugno 2018

Premessa: questo articolo di Massimo Introvigne risale a qualche anno fa ma vale la pena rileggerlo e vedere se l’attenzione su questa iniziativa rimarra’ in piedi dal momento che uno dei suoi fondatori e promotori, Larry Harvey, e’ deceduto lo scorso aprile 2018

Lee Harvey

Larry Harvey in Nevada

Occulto, occulto non piu’ cosi occulto…

 Sesso, droga e new age. I poteri forti sono a nudo

di Massimo Introvigne

Qualche giorno fa il New York Times ha rivelato che si sono trovati, e hanno scambiato qualche idea su come governare il mondo, i due fondatori e padroni di Google, Larry Page e Sergey Brin, e i loro omologhi di Facebook, Mark Zuckerberg, e di Amazon, Jeff Bezos, più altri imprenditori di primissimo piano più bravi di loro a non far sapere che erano alla riunione. Ma già i nomi emersi sono sufficienti. Immaginate di avere espresso qualche idea, ma che Page e Brin facciano sì che nessuno vi trovi con una ricerca Google, Zuckerberg vi cacci da Facebook e Bezos elimini i vostri libri dal catalogo universale di Amazon. È come essere morti, o forse peggio, perché ci sono tanti morti le cui idee continuano a circolare. Dite che vi resterebbe Twitter? Sembra che anche i padroni di Twitter fossero all’appuntamento, anche se non lo si può dimostrare con certezza.

Ma – vi chiederete – a che serve l’ennesimo articolo sul Bilderberg, sulla Commissione Trilaterale, sul Forum di Davos o sulle logge coperte della massoneria? A parte le ultime – che, a credere a un acido editoriale del direttore dimissionato del «Corriere della Sera» Ferruccio de Bortoli, di cui tanto si parla in questi giorni, si occuperebbero principalmente di bastonare chi parla male di Renzi – delle altre organizzazioni si è scritto di tutto e di più. Infatti questo articolo non parla del Bilderberg e di altre consorterie consimili, e la notizia è che non ne parlano più molto neanche i vari Zuckerberg e Page, cioè i veri potenti del XXI secolo. No, alla fine del mese scorso e all’inizio di questo i potentissimi signori di Internet si sono ritrovati in un deserto americano in mezzo a cinquantamila hippie maleodoranti e mezzi nudi. Ma non era, si chiederà ancora il lettore, che gli hippie non esistono più? Sì e no. Ci sono ancora ex-hippie nostalgici della loro giovinezza e ragazzotti conquistati dalle mode retro.

 

Tutti si trovano da diversi anni nel deserto del Nevada, tra fine agosto e inizio settembre, per qualcosa che si chiama Burning Man Festival, Festival dell’Uomo che Brucia. Il festival è nato nel 1986 su una spiaggia di San Francisco, ma nel 1990 si è trasferito nel deserto di Black Rock, nel Nevada, una zona dove la temperatura sale a cinquanta gradi e talmente isolata che non funzionano né Internet né i cellulari. Al primo festival del 1986 parteciparono dodici persone. Sono poi salite a settantamila, fino a che le autorità del Nevada per ragioni di ordine pubblico hanno deciso di limitare il numero a cinquantamila, anche se sembra che il limite non sia di fatto rispettato. Di che si tratta? Sul Festival dell’Uomo che Brucia sono stati ormai pubblicati diversi studi accademici, che hanno insistito sulle sue due radici. La prima è il movimento delle «zone temporaneamente autonome» (Taz, Temporary autonomous zones), lanciato dal poeta anarchico americano Hakim Bey, pseudonimo di Peter Lamborn Wilson, nato nel 1945. Wilson, o se preferite Bey, propugnava la creazione di spazi – destinati a durare per qualche giorno o settimana – in cui non vi fossero leggi e non potesse entrare la polizia, dove ciascuno potesse fare letteralmente tutto quello che gli passava per la testa. Secondo l’ideologia anarchica, in queste zone tutto sarebbe andato per il meglio e le persone si sarebbero regolate da sole in modo allegro e felice.

Wilson è un uomo colto ed è uno dei maggiori studiosi americani di Gabriele D’Annunzio (1863-1938): sostiene che lo Stato Libero di Fiume guidato dal poeta italiano nel 1920 è stata la prima Taz, e fa notare che la sua costituzione è stata la prima al mondo a legalizzare l’omosessualità, il nudismo e l’uso delle droghe. Il problema è che Wilson propugna per le Taz non solo la libera omosessualità ma anche la libera pedofilia. La sua collaborazione con la Nambla (North American Man/Boy Love Association), la maggiore associazione americana che promuove la libertà di pedofilia, lo ha reso una figura controversa anche negli ambienti anarchici: sì, anche il medio anarchico qualche volta scopre di avere una coscienza. Wilson – ma soprattutto i suoi seguaci – hanno risposto con una svolta «mistica», criticata dagli anarchici più «politici», definendo sempre di più le Taz come zone dove gran parte della giornata è dedicata alla meditazione e ai rituali di tipo New Age e neo-pagano, ovvero ispirati alle popolazioni native americane. Questi rituali – la seconda radice del Burning Man – dovrebbero rendere tutti più tranquilli e più buoni, ed evitare derive sgradevoli specie nel settore delicato della pedofilia.

L’idea delle Taz con condimento «mistico» e New Age è stata rilanciata con grande successo da Larry Harvey, l’artista di San Francisco che ha inventato il Burning Man Festival. Harvey ha raccolto intorno a sé un gruppo di amici artisti in maggioranza non omosessuali, ma fin dall’inizio ha cercato l’alleanza con la comunità omosessuale che aveva, ha affermato, «più soldi, più droga e più persone ricche interessate a collezionare arte moderna». Il favoloso successo dell’Uomo che Brucia è nato dal talento organizzativo di Harvey ma anche dalla crisi di altre iniziative dell’area hippie e New Age, considerate invecchiate e desuete e cui il Burning Man ha offerto un’iniziativa che sembra nuova, alla moda, «cool» e frequentata da artisti di grido e talora anche dotati di effettivo talento. Come dice il nome, il centro del Burning Man Festival è un grande fantoccio che rappresenta un uomo – anzi, «l’Uomo» – cui è dato ritualmente fuoco. Intorno a questo evento centrale si organizzano rituali, momenti di meditazione, incendi di altre strutture e anche opere d’arte prodotte apposta per essere bruciate.

 

È una settimana di vita alternativa, da Taz appunto, che ricorda vagamente Woodstock e altri concerti e raduni hippie degli anni 1960. Ci sono la droga che scorre a fiumi, la nudità e accoppiamenti di tutti i generi: ma saggiamente Harvey, conoscendo le derive pedofile del movimento Taz, vieta o almeno sconsiglia fortemente la presenza di bambini. C’è la possibilità di sperimentare una società anarchica o, se si vuole, perfettamente comunista dove non c’è proprietà privata – non si può vendere nulla, solo donare o scambiare, e non ci sono case, si dorme nel deserto o nella tenda che ognuno è riuscito a portarsi in uno zaino -, non c’è famiglia – lo spirito del festival favorisce piuttosto gli accoppiamenti effimeri e liberi, in tutte le direzioni – e non c’è religione, perché comunque la si pensi tocca partecipare ai rituali più svariati, anche contraddittori tra loro.

Abolite la religione, la famiglia e la proprietà si è pronti per assorbire un vero e proprio bombardamento di ideologia relativista.

Come spiega Harvey, l’Uomo che Brucia insegna la filosofia «postmoderna» che sembra complicatissima ma in fondo è molto semplice: non ci sono verità, ma solo esperienze, le dottrine dividono, i rituali uniscono purché non trasmettano una dottrina, ma solo l’idea secondo cui tutte le credenze sono di ugual valore.

L’Uomo – l’uomo maschio, il padre, che comunque merita di bruciare un po’ di più della donna o dell’omosessuale – scompare nel fuoco ogni anno per ricordare a tutti che nessuna identità è permanente né dura nel tempo. Una delle più belle costruzioni del festival è il Tempio, realizzato da scultori e architetti di notevoli capacità  – per chi apprezza il genere – e ogni anno dedicato a una diversa religione, spesso inventata o fantastica. Ebbene: per bello che sia, anche il tempio brucia, perché la presunta verità non dura più di una settimana, la religione che è vera quest’anno sarà falsa l’anno prossimo. Ma niente paura: ci sarà un altro tempio più grande e più bello, poi daremo fuoco anche a quello, e così via all’infinito. Forse i nuovi hippie non conoscono Friedrich Engels, il cofondatore con Karl Marx del Partito Comunista, ma il Burning Man mette in scena il suo motto: «tutto quello che esiste merita di morire».

Tutto questo, per chi lo guardi da fuori, ha un nome: dittatura del relativismo, e all’ennesima potenza. Il cardinale Ratzinger, ribadendo la condanna cattolica della massoneria, spiegava che le logge non hanno nemmeno bisogno d’insegnare il relativismo a parole: per trasmetterlo, basta «la forza del rituale». Pensiamo a quanto più forte è il rituale dell’Uomo che Brucia, proposto a persone già poste in uno stato alterato di coscienza e di eccitazione dal caldo del deserto, dalla droga, dagli eccessi sessuali. Due generazioni fa, i poteri forti si ritrovavano nelle logge massoniche più tradizionali. L’avvocato Giovanni Agnelli spiegò, esagerando, che in loggia rischiava ormai d’incontrare il suo barbiere, e la sua generazione preferiva i vari Bilderberg. Oggi i padroni di Google, di Facebook, di Amazon, che esercitano un controllo sulle nostre vite infinitamente più capillare dei “padroni delle ferriere” di un tempo, si ritrovano all’Uomo che Brucia.

Il New York Times ci svela che c’è il trucco: i vip non si mescolano davvero con gli hippie o ex hippie, i quali non si lavano, sudano ed emanano cattivo odore – per non parlare del fatto, svelato da qualche giornalista curioso che è andato a vedere di persona, che non tutto al Burning Man è pace e amore, si moltiplicano le violenze carnali, le overdose e anche i suicidi. No, i padroni del mondo vanno dall’Uomo che Brucia in aereo privato, e lì dormono in tende di lusso con aria condizionata, camerieri e cuochi stellati. Pagano 25.000 dollari, non il normale biglietto d’ingresso di trecento, anche se dentro le tende trovano le più belle modelle, e modelli, con i tempi che corrono, di New York che, vedi caso, il biglietto a quattro zeri non lo hanno pagato. Ma ci sono tanti modi per pagare. Però – lasciamo al New York Times la responsabilità di queste affermazioni – si dice che la droga corra anche nelle tende di superlusso, e certamente i signori di Internet partecipano con entusiasmo ai roghi delle statue e dei templi e manifestano il loro assenso all’ideologia del Burning Man. Che chi comanda davvero sia passato dalle atmosfere ovattate delle logge e dei Bilderberg al carnaio di corpi nudi, drogati e non troppo puliti dell’Uomo che Brucia ci fa capire tante cose su quello che sta succedendo nel mondo: e sul futuro che questi signori vogliono prepararci.

Fine? Speriamo bene mi verrebbe da dire…
Curiosita’: David Bowie era un affezionato frequentatore del festival, secondo alcuni le sue ceneri sarebbero state sparse durante la cerimonia del falo’ se non addirittura conservate nel tempio pagano  presente su sito.
Se vi interessa il tema e desiderate approfondire vi consiglio il film: “The Wicker Man” con Nicolas Cage (notate il Burning Man sulla locandina!)
The Wicker Man, 2006

The Wicker Man, 2006

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Fonte: UnPopperUno

Sono andato al cinema a vedere i soliti gnostici, o meglio i soliti gnostici vent’anni dopo. I fratelli Wachowski avevano già fatto caccia grossa tra le eresie dei primi secoli cristiani per la trilogia fantascientifica di Matrix, e con questa nuova space opera, Jupiter, continuano il loro sacco di Alessandria d’Egitto. Prometto di non fare spoiler, sebbene non ci sia granché da rovinare. Basterà dire che l’eroina eponima del film, Jupiter, è una Cenerentola gettata nel nostro cosmo tenebroso e qui costretta a pulire i cessi, ma è anche la Sophia delle antiche cosmogonie gnostiche, l’eone femminile della divinità, una regina che si è dimenticata di esser tale; i suoi figli si contendono l’eredità, e il malvagio primogenito, nel terrore che Jupiter si ricordi della sua natura e rivendichi i suoi diritti regali sulla Terra, le scatena contro arconti, bravacci e sicari di ogni specie. La dinastia regnante si chiama, neppure a dirlo, Abrasax, il nome del principio divino in sistemi gnostici come quello di Basilide.

Il film è un ininterrotto disastro, e tra eliogabali spaziali, licantropi alati, scimmie glabre olografiche e lucertoloni cool in giubbotto di pelle mi è venuto da ridere ricordando questa osservazione di Ioan Petru Couliano in coda alla grande opera sui dualismi occidentali: “Per l’umile storico che si occupa di gnosticismo, tanta attenzione accordata al suo oggetto di studio è lusinghiera. Per la verità egli stenta a crederci, quando vede il mondo ormai invaso da questi gnostici che, numericamente deboli e sempre perseguitati, potevano tutt’al più pretendere di aver esercitato un certo fascino intellettuale sui più forti spiriti del loro tempo”. Couliano ce l’aveva con gli abusi polemici e apologetici della parola gnostico, applicata a tante di quelle cose contraddittorie da non voler dire più nulla. Ma che quelle dottrine antiche e oscurissime siano diventate moneta corrente nella cultura pop resta un fatto notevole. Non serve essere padri apologisti ossessionati dall’ortodossia per accorgersi che nel cinema, e nella fantascienza in generale, lo gnosticismo è ormai luogo comune, sulla scia del protoeresiarca Philip K. Dick.

Qualche anno fa Eric G. Wilson trattò il tema nel libro Secret cinema. Gnostic vision in film. Setacciando decine o centinaia di film, Wilson trovava impronte manichee nel Truman Show, echi valentiniani in Dark City, e arrivava a dire che se Basilide avesse girato un film sarebbe stato eXistenZ di David Cronenberg. Elencava i “commercial Gnostic films” nelle varianti cabalistiche e alchemiche, e Matrix gli appariva come una rivisitazione dell’antico mito gnostico del redentore redento. L’errore del suo libro era tutto nel titolo, perché di segreto ormai c’era ben poco, e l’esoterico si era rivelato per quel che è, ossia il rovescio dell’essoterico, un guanto che si può rigirare mille volte. In vent’anni ho visto compiere alla gnosi la stessa traiettoria del kiwi, il frutto esotico che diventa così onnipresente da far apparire la mela e la pera come cibi arcani e proibiti.

Da qui i miei sbadigli al cinema, davanti ai soliti gnostici e al solito pleroma e alla solita scintilla divina e al solito demiurgo funesto. Tornato a casa, per rinfrancar lo spirito tra un enigma e l’altro, ho riaperto il vecchio libro-quiz di Paolo Villaggio (o forse di Umberto Eco) Come farsi una cultura mostruosa alla voce “gnostici”. Ebbene, chi sono gli gnostici? Queste le alternative: “1. Persone che fanno sempre finta di niente (“smettila di fare lo gnostico!”); 2. Palline di farina e semolino che, condite con sugo di carne, costituiscono il piatto nazionale dell’isola di Cipro; 3. Eresiarchi dei primi secoli del cristianesimo; 4. Concetti o espressioni difficili da capire: “Le tue idee suonano gnostiche alle mie orecchie”.

Oggi le idee gnostiche non suonano più ostiche, al contrario. E vedrete che finiremo per rivalutare la risposta numero due quando, davanti alla sala dove si proietta l’ennesimo film di fantascienza basilidiano o valentiniano, troveremo un’insegna da osteria romana: “giovedì gnostici”.

Articolo uscito sul Foglio il 19 febbraio 2015 con il titolo I soliti gnostici colpiscono ancora: Jupiter è una boiata pazzesca

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starwars.com

Che gli spoilers inizino…

Star Wars: Episode VII cast

Star Wars: Episode VII cast

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Life After God, Douglas Coupland

Life After God, Douglas Coupland

You are the first generation to be raised without religion.”

The text is an exploration of faith in this vacuum of religion. The stories are also illustrated by the author (Douglas Coupland).

Sito | coupland.com

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New York

Sarebbe un ottimo esercizio di team building…!

Leggi l’articolo collegato qui

mandala

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#welovevideos

DESTINO è un corto d’animazione prodotto nel 2003 dalla Disney, anche se ilprogetto originale risale al 1945 quale risultato della collaborazione tra Walt Disney e l’artista spagnolo Salvador Dalí, con musiche eseguite dal compositore messicano Armando Dominguez.

Il corto racconta la storia di Chronos, la personificazione del tempo, e la sua incapacità di realizzare il suo desiderio, amare una ragazza mortale.

I disegni e i bozzetti preparativi di Destino vennero realizzati da John Hench, artista degli studios della Disney, e dallo stesso Dalí in otto mesi, tra il 1945 e il 1946. Tuttavia, a causa di problemi di natura finanziaria, il progetto fu abbandonato: la Walt Disney, infatti, fu colpita da una grave crisi economica durante la seconda guerra mondiale. Hench produsse un piccolo test d’animazione della durata di circa 18 secondi, nella speranza di un futuro recupero del progetto. Nel 1999, il nipote di Walt Disney, Roy Edward Disney, mentre stava lavorando alla realizzazione di Fantasia 2000, rispolverò il progetto di Destino e decise di ripristinarlo.

Per il completamento del cortometraggio vennero incaricati gli studios Disney di Parigi. Il film fu prodotto da Baker Bloodworth e diretto dall’animatore francese Dominique Monfrey, per la prima volta nelle vesti di regista. Un team di circa 25 animatori si diede da fare per decifrare gli storyboard criptici di Dalí ed Hench(avvalendosi anche dei diari scritti dalla moglie di Dalì, Gala). Alla fine il risultato fu questo cortometraggio in cui sono mescolati elementi di animazione classica a ritocchi apportati con la computer grafica.

La storia fu descritta da Dalí come “una magica messa in scena del problema della vita nel labirinto del tempo”. Walt Disney la definì come “una storia smeplice su una ragazza alla ricerca del vero amore.” 

Leggi l’articolo originale pubblicato sul blog Polpettas

 

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Architecture
and Design Month
New York City
October 2014

The fourth annual month-long festival of architecture activities, programs and exhibitions in New York City.

http://www.archtober.org/

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