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Archive for the ‘Conflitti internazionali’ Category

Fonte: Atlantic Community

Articolo Originale

MA Thesis: Kosovo Beyond Nationalism

Stefan G. Ducich: More than ten years after Operation Allied Force, there is no durable peace in Kosovo. The global community, and the EU in particular, has the responsibility and the influence to usher in a system of governance and accountability, whereby the entire Kosovar populace – regardless of ethnic back

In her Pulitzer Prize winning account of genocide, Samantha Power ( read her book “A Problem from Hell) lays bare the very real threat of forsaking a people after catastrophic, widespread violence. She argues: “Citizens victimized by genocide or abandoned by the international community do not make good neighbors, as their thirst for vengeance, their irredentism, and their acceptance of violence as a means of generating change can turn them into future threats.”

To avoid this prediction, and in an effort to stabilize, democratize, and ensure the protection and promotion of human rights in Kosovo, the international community committed itself to an extended stay in the territory, to found a new institutional order based on the democratic principles of a free society. Yet, finding the balance between local group socialization, political administration in a ‘status-neutral’ setting, transparency and legitimacy within a ‘benevolent autocracy’, and the contradictions of protecting and promoting a human rights regime via ‘dictatorial’ reserved powers proved all but impossible for the Interim Administration Mission in Kosovo (UNMIK).

By analyzing the politics of ‘status,’ implementation of democratic theory, and the promotion and protection of human rights, this study aims to highlight the historical, political and legal contexts and consequences of the policies, structure and competences of UNMIK from 1999-2008. Furthermore, with the launch of the EU rule of law mission in Kosovo in early 2009 – by systematically appraising three major deficiencies of the UN administration, one can lay out the most urgent thematic and practical steps needed for the ultimate success of the mission as a whole; and in so doing, fulfill the UNSCR 1244(1999) mandate by achieving real stability and democracy in the region. Whatever the ultimate conclusion to the Kosovo question is, it must reflect the new reality of the systemic order.

Kosovo, like many states before, has fallen victim to the perception that traditional state-sovereignty is the only solution. However, this paper posits a more nuanced approach, suggesting that perhaps what is necessary for a durable peace is a new perspective: one which emphasizes the benefits of trans-national ties and minimizes the need for strict traditional sovereignty. In this vein, it is the European Union which offers the best possible solution. Not only does it have the institutional knowledge acquired in the tenure of the UN administration, but it also has the rhetorical, political, and economic strength to bind both Priština and Belgrade towards a mutually beneficial future within the Union (in whatever State-form) precisely by reducing the emphasis on nationalist interests.

Stefan Ducich recently completed his MA in International Relations from the Diplomatic Academy of Vienna.

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Fonte:  Un Ponte Per

Prende il via il progetto Iraqi and Italian Students Network (IISN) con l’obiettivo di aprire un ponte di dialogo tra studenti delle scuole superiori in Italia e Iraq e favorire la nascita di una rete internazionale di amicizia e solidarietà.

Alcuni anni fa, mentre l’Iraq veniva devastato dalla guerra, l’Unione degli Studenti e Unione degli Universitari hanno promosso in Italia una raccolta fondi per gli studenti iracheni, assieme a Un ponte per… e Progetto Sviluppo (CGIL).

Una missione studentesca italiana avrebbe dovuto raggiungere l’Iraq per portare la nostra solidarietà, ma le precarie condizioni di sicurezza non l’hanno consentito. Oggi su suggerimento dell’associazione irachena al-Mesalla questi fondi sono stati utilizzati per aprire un ponte di dialogo virtuale ma diretto tra studenti delle scuole superiori in Italia e Iraq, con l’obiettivo di far nascere una rete internazionale di amicizia e solidarietà.

Il progetto Iraqi and Italian Students Network (IISN) – realizzato in Italia da Un ponte per…, Progetto Sviluppo e Fondazione Frammartino – intende aiutare studenti delle scuole superiori irachene, con particolare attenzione alle ragazze, ad attivare legami permanenti con studenti italiani per costruire ponti di pace. Il progetto coinvolge cinque classi italiane in diverse regioni, che hanno avviato un processo di conoscenza e amicizia a distanza in lingua inglese con studenti di cinque classi irachene, grazie ai programmi di chat e alle funzionalità di un sito Internet appositamente creato: www.iistudents.net

Gli istituti italiani si trovano a Monterotondo (RM), Pontedera (PI), Milano, Napoli, Caulonia (RC). Gli istituti iracheni a Erbil, Falluja (due classi) e Samawa (due classi). In Iraq il progetto è gestito dall’associazione al-Mesalla, che ha affidato il compito di facilitatori del rapporto con le scuole nelle tre città irachene ai coordinatori locali della rete LaOnf (Nonviolenza) che diffonde la cultura della nonviolenza e della partecipazione.

Gli studenti italiani hanno seguito incontri introduttivi su storia, cultura e costumi dell’Iraq, e hanno ricevuto suggerimenti sulle cautele necessarie per affrontare temi sensibili quali le conseguenze della guerra o le questioni di genere. Gli studenti iracheni sono stati formati all’uso di Internet e guidati presso la sede di associazioni locali, in quanto a scuola – se va bene – hanno un solo computer connesso a Internet, usato dall’amministrazione.
Ben presto è emersa l’enorme distanza tra i ragazzi che da una parte passano il tempo libero tra sport, shopping, discoteca, e dall’altra tendenzialmente nel tempo extra-scolastico lavorano, per portare qualche soldo in più alla famiglia. Non è facile sciogliere il ghiaccio ma il contatto diretto è iniziato tramite chat e conversazioni Skype.
La curiosità dei ragazzi farà il resto!

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Prezzo: 12.00€

“Il caro armato. Spese, affari e sprechi delle Forze Armate italiane”: l’Italia nel 2010 spenderà per armamenti, missioni ed esercito professionale oltre 23 miliardi di euro. In piena crisi, il Governo investe denaro pubblico in fregate e bombardieri.

L’Italia gioca ancora in difesa: nel 2010 le spese militari lasceranno sul terreno dei conti pubblici oltre 23.500 milioni di euro. Il nostro Paese, oggi all’8° posto al mondo per spese militari, ha più di 30 missioni internazionali in corso e nei prossimi anni ha in programma di acquistare, per citare solo uno dei faraonici progetti sui cosiddetti “sistemi d’arma”, 131 cacciabombardieri per 13 miliardi di euro.

“Il caro armato”
è la puntigliosa ricognizione che mancava sulla struttura delle Forze Armate e sulle spese militari del nostro Paese (somme spesso non facili da tirare) e sugli sprechi che a volte sarebbe possibile e doveroso evitare. Il “Nuovo Modello di Difesa” ha spostato la linea del fronte dai confini geografici a quelli degli interessi economici occidentali, ovunque siano considerati a rischio. La leva obbligatoria è stata sospesa. Ma scopriamo che, nonostante le “riforme”, il nostro esercito professionale conta ancora 190mila uomini, tra i quali il numero dei comandanti -600 generali e ammiragli, 2.660 colonnelli e decine di migliaia di altri ufficiali- supera quello dei comandati.

Scopriamo che il nostro Governo continua ad acquistare “sistemi d’arma” sempre più costosi, dalla portaerei Cavour, alle fregate FREMM (5.680 milioni di euro) al cacciabombardiere Joint Srike Fighter (13 miliardi di euro); e che il “mercato” delle armi, con i Governi principali committenti, è tutt’altro che libero: sono al contrario stretti i rapporti tra Forze Armate e industria bellica e frequenti i passaggi di militari a fine carriera dall’una all’altra schiera.

Un capitolo è riservato alle scelte più controverse legate alle Forze Armate e ai loro “costi”: le missioni internazionali, la presenza dei militari in città, le servitù militari, il destino degli immobili della Difesa, l’abbandono del servizio civile; per arrivare agli “scandali” veri e propri, tra cui sprechi e inefficienze clamorose e la triste vicenda dell’uranio impoverito. L’appendice fa infine il punto sulle spese militari in Europa e nel mondo.
“Il caro armato” non solo passa come un cingolato sulla “casta” militare e i suoi privilegi, ma spiega anche nelle conclusioni quali riforme e cambiamenti sono auspicabili: a partire dalla rinuncia al menzionato progetto JSF.

Gli autori: Massimo Paolicelli, giornalista, scrive di pace e obiezione di coscienza ed è presidente di Associazione Obiettori  Nonviolenti. Francesco Vignarca è coordinatore di Rete Italiana per il Disarmo e già autore di “Mercenari Spa” (Bur-Rizzoli).

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Il giovane Ryan Conklin di Gettysburg,  Pennsylvania e’ entrato nell’esercito americano a 17 anni dopo aver sentito la “chiamata alle armi” in seguito all’ attentato alle Torri Gemelle di New York nell ‘ 11 settembre 2001.  Rimasto di stanza a Tikrit, Iraq, a seguito del pluridecorato reggimento “Rakkasans”,  ha avuto la possibilita’ di assistere al processo a Saddam Hussein,  ha vissuto la guerra, ha imparato molto. Non ostante abbia sofferto di disturbi post-traumatici e’ rimasto nell’esercito come veterano riservista.

Nel video, un riassunto dei momenti preferiti di Ryan in Iraq;

Tornato a casa con le idee molto chiare sul suo futuro (vuole diventare regista)  e’ gia’ stato ospite di varie trasmissioni radiofoniche e televisive, ha scritto diversi articoli velatamente critici sulle strategie messe in atto in Iraq ed Afghanistan ed ha scritto un libro di memorie che ha intitolato “An Angel from Hell: Real Life on the Front Lines“:

Una volta tornato a casa, si trova “per caso” assieme alla fidanzata in un pub in cui si tenevano le audizioni del programma di MTV The Real World: Brooklyn e viene accettato.  Poi qualcosa cambia e… Qui potete vedere il momento in cui viene richiamato alle armi in diretta durante la trasmissione.

Nella intervista radiofonica tenuta questa mattina alla radio WNYC di New York,  Ryan ha parlato della sua esperienza in Iraq,  della novita’ di trovarsi appena 17 enne e per la prima volta fuori dai confini degli Stati Uniti, in un luogo di cui non aveva mai sentito parlare prima, di cui non conosceva nulla e per di piu’ mandato allo sbaraglio, senza ricevere briefing dettagliati su operazioni e soprattutto sulla motivazione di alcune missioni.  Di aver votato per Obama nel 2008 sperando nella promessa di un disimpegno delle truppe americane da Iraq ed Afghanistan.

Ryan e’ tutt’ora un riservista dell’esercito ma vuole entrare nel modo patinato della tv e del cinema. Incalzato dallo speaker che gli chiedeva della sua disponibilita’ a recarsi in Afghanistan anziche’ in Iraq qualora gli fosse chiesto (volendo probabilmente saggiare il livello di patriottismo e di protagonismo del nostro 25 enne) Ryan ha riso imbarazzato (touche’) dicendo che si avvarrebbe del suo status di veterano per evitare l’Afghanistan.

Ryan riscuote un discreto successo in casa,  ecco qui un Blog a lui dedicato.

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Fonte: L’Antefatto


La Rete si mobilita per portare solidarietà all’Ong

di Federico Mercuri

Prima l’arresto con le accuse di partecipazione a un presunto complotto per uccidere il governatore della provincia di Helmand, poi le indiscrezioni sulla confessione di uno degli arrestati, infine il passo indietro e la smentita delle autorità afgane sulle confessioni stesse. La situazione che vede coinvolti i tre operatori italiani dell’ospedale di Emergency in Afghanistan resta alquanto ingarbugliata.

Dell’ultima ora la smentita sulla confessione di uno dei tre fermati a Laskhar Gah. Dopo che la notizia era stata fatta filtrare domenica, il portavoce del governatore di Helmand, Daud Hamadi, ha affermato di esser stato citato in modo sbagliato dal “Times”, per quanto riguarda il legame fra i tre e Al Qaeda. Quanto alla presunta confessione, il portavoce ha precisato di aver parlato solo di collaborazione alle indagini da parte di uno degli arrestati, Marco Garatti. Il giornalista del quotidiano inglese, Jerome Starkey, ha tuttavia confermato il virgolettato che aveva riportato, sottolineando di aver addirittura richiamato il portavoce per farselo confermare.

L’unica certezza per ora, è che resta in piedi l’accusa ai tre italiani e agli altri sei arrestati afghani di essere parte di un complotto ordito dai talebani per assassinare il governatore Goulab Mangal. Ma le accuse non finiscono qui. Le autorità afghane, citate questa volta dalla CNN, sostengono che i tre italiani avrebbero ucciso nel 2007 l’interprete dell’inviato di Repubblica Daniele Mastrogiacomo, Adjmal Nashkbandi. Il governo afghano, cui spetta la decisione su un eventuale trasferimento dei detenuti a Kabul, ha fatto sapere di non potersi pronunciare in alcun modo perché l’indagine è in corso.

Gino Strada, fondatore di Emergency, sembra avere invece le idee molto chiare e lo afferma sul blog di Beppe Grillo: «Il quadro resta quello che avevamo delineato già il primo giorno. Si tratta di una aggressione all’ospedale di Emergency. Un’operazione messa insieme, preparata, premeditata e studiata per togliere di mezzo un testimone scomodo delle atrocità della guerra». La ragione è molto semplice aggiunge Strada: «Non si vuole far sapere ciò che avviene lì. Non a caso non c’è un solo giornalista che possa seguire le operazioni della più grande campagna della Nato – così l’hanno definita loro – degli ultimi decenni e si vuole togliere di mezzo un ospedale che è poi quello che riceve le vittime di quella campagna. E siccome per il 40% i feriti sono bambini, la cosa secca un po’, si preferisce cercare di far credere all’opinione pubblica che si è lì per portare la pace e la democrazia e che casomai si colpisce qualche pericolosissimo terrorista».

Non è la prima volta che si vuole colpire l’ospedale, afferma il fondatore della ong. Quando fu rapito il giornalista di Repubblica Daniele Mastrogiacomo, davanti all’ospedale di Emergency ci furono le stesse manifestazioni di protesta che ci sono ora. «Fanno parte della propaganda – sostiene Strada nel corso della registrazione della trasmissione di Fabio Fazio “Che tempo che fa” – in Afghanistan non ci vuole molto, non serve nemmeno pagarle, basta andare da una cinquantina di persone e dire loro: andate a far casino in quel posto». Mastrogiacomo si dice infatti «sbalordito» delle accuse riportate dalla CNN. Secondo il giornalista di Repubblica i tre italiani forse non erano neppure lì nel periodo del suo rapimento. «Io sono stato nell’ospedale solo per poche ore e non mi ricordo di loro». Ma di una cosa il giornalista è certo: «Da lì sono partito con un convoglio mentre Adjmal è partito con un altro e ci siamo salutati dicendoci che ci saremmo rivisti presto. Eravamo sicuri di esserne usciti indenni. Ma poi lui è stato nuovamente catturato lungo la strada e a catturarlo sono stati i talebani. Poi aggiunge «Gli operatori Emergency sono quelli che hanno trattato per la nostra liberazione. Voglio ricordare che subito dopo il nostro rilascio, le autorità afghane tennero in carcere per tre mesi Ramatullah Anefi, che svolse il ruolo di mediatore con i rapitori, accusandolo di essere il mandante del sequestro e di averci incontrati per tre volte durante la nostra prigionia, cosa assolutamente falsa perché io lo vidi solo il giorno della mia liberazione».

Nessuna notizia dei tre se non quella proveniente dall’ambasciatore italiano in Afghanistan sulla bontà del loro stato di salute e gli stralci del testo di una e-mail che Matteo Dell’Aira ha inviato alla moglie prima dell’arresto. «Qui siamo sempre pieni. Ultimamente è impressionante l’età media dei nostri pazienti. Oggi siamo andati in terapia intensiva per il giro, 5 letti su 6 sono bambini piccoli, due dei quali piangevano come dei matti perché volevano il loro papà. Non è mai facile sopportare il pianto di un bambino». La lettera letta dall’inviata di Sky Tg24 si chiude con un «vorrei che tu fossi qui perché alcune cose bisogna vederle con i propri occhi, altrimenti stenti a crederci». Nel frattempo Emergency si sta mobilitando per una manifestazione nazionale prevista per sabato 17 aprile a Roma, iniziativa accompagnata da una raccolta firme sul sito della Ong, che ha già raggiunto quota 30mila aderenti e l’adesione di esponenti della società civile come Gabriele Salvatores, Gad Lerner e Claudio Magris.

Pagina Facebook ufficiale di Emergency

Sito web di Peacereporter

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Fonte: TED

Chi e’?

Sono un’esperta di terrorismo a livello mondiale. Nata e cresciuta a Roma, vivo a Londra da vent’anni. Ho presieduto nel 2005 la conferenza internazionale sul terrorismo organizzata dal Club de Madrid.

Recentemente, insieme al governatore della Banca di Italia, sono stata incaricata dall’UNICRI – lo speciale istituto delle Nazioni Unite per la prevenzione del crimine – di formare un team di esperti al fine di coinvolgere i governi nella lotta contro i finanziamenti al terrorismo.

Faccio consulenze sulle strategie e sui meccanismi del terrorismo per i più importanti esecutivi occidentali. Collaboro inoltre con numerose forze dell’ordine, tra cui la Homeland Security statunitense, l’International Institute of Counter-Terrorism israeliano e la polizia catalana. Sono consulente per la BBC e la CNN, editorialista per El Pais, Le Monde e The Guardian. In Italia pubblico su vari giornali tra cui la D/La Repubblica, l’Unità, Internazionale, Il Caffè

Blog di Loretta napoleoni su – Il Cannochiale –

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Loretta Napoleoni details her rare opportunity to talk to the secretive Italian Red Brigades — an experience that sparked a lifelong interest in terrorism. She gives a behind-the-scenes look at its complex economics, revealing a surprising connection between money laundering and the US Patriot Act.

Why you should listen to her:

Once it was easy to know where our money was going. Now we live under a system Loretta Napoleoni has dubbed “rogue economics,” where the blurry histories of the products we consume and the cash we invest make us complicit in financing barely legal credit schemes — and even crime, if it’s the slavery producing the beans for our lattes or the guts of our mobile phones.

The reach of the newly global market, as Napoleoni argues in her new book, Rogue Economics: Capitalism’s New Reality, connects us all to the dark side, regardless of our intentions to be responsible  — and, she says, our deep connection to fishy credit and unregulated finance has laid the groundwork for the current economic crisis. Her previous book, Terror Incorporated“, dives into the true economic impact of terrorism.

“Napoleoni argues that the crisis won’t end until the excesses of globalization — which include growing criminal markets in sex slaves and counterfeit drugs — are brought under control.”

Temma Ehrenfeld, Newsweek

Loretta Napoleoni: The intricate economics of terrorism

Parlamento Europeo – Loretta Napoleoni (1 aprile 2009)

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Fonte: BBC news

Nella foto: il leader dl partito Laburista olandese, Wouter Bos

Chi e\’ Wouter Bos

Il governo olandese guidato dal cristiano-democratico Jan Peter Balkenende e’ caduto in seguito alla uscita del partito Laburista, guidato dal ministro delle finanze Wouter Bos, dalla coalzione di governo.

Motivo della rottura, la volonta’ del primo ministro di aderire alla richiesta dell’amministrazione americana di estendere la presenza delle truppe olandesi in Afghanistan oltre il 2010.

Il partito Laburista voto’ lo scorso anno a favore di un ritiro definitivo entro agosto del 2010, per porre un freno alla volonta’ dei cristiano-democratici di estendere il mandato.

Il governo olandese infatti, avrebbe dovuto ritirare le truppe gia’ nel 2008.

Dall’ ottobre del 2009 la forza di coalizione Isaf ha stanziato piu’ di 71,000 soldati provenienti da 42 differenti nazioni  ISAF – Troop Contributing Nations in uno sforzo contro i Talebani senza precedenti.

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Fonte: Associated Press via Yahoo News

By GREGORY KATZ, Associated Press Writer Gregory Katz, Associated Press Writer Fri Feb 5, 12:39 pm ET

LONDON – He lied about his age to get into the service, and was rewarded for his gallantry with an early death.

Now, on what would have been his 82nd birthday, Reginald Earnshaw’s sad place in history has finally been acknowledged.

On Friday, the Commonwealth War Graves Commission officially recognized him as the youngest known British service casualty in World War II.

The lad lived just 14 years and 152 days. He died when German planes attacked the SS Devon, the ship he was on, off the east coast of England on July 6, 1941. He had only served for several months.

Officials had been slow to recognize his status because they did not have official proof of his date of birth, making it impossible to prove he was actually younger than Raymond Steed, who died at 14 years and 207 days.

Earnshaw was serving as a Merchant Navy cabin boy when he died. He had told authorities he was 15, the minimum allowable age, after leaving school to help with the war effort.

His younger sister, Pauline Harvey, placed flowers at his grave at Comely Bank Cemetery in Edinburgh, Scotland, on Friday and met with the aging relatives of other Merchant Navy sailors killed during the same attack.

“Reggie’s death at such a young age and after just a few months at sea came as a great shock to the whole family,” said Harvey, a retired teacher who is 77. “I am immensely grateful to so many people who helped research my brother’s forgotten story, and to the war graves commission for providing his grave with a headstone.”

She came forward with proof of her brother’s date of birth after the war graves commission made a nationwide appeal for information about Earnshaw.

He had laid in an unmarked grave in Edinburgh for decades, and little was known about his case until a surviving shipmate, machine gunner Alf Tubb, spent several years trying to find out what had happened to the young man he served with.

His search was difficult because the war graves commission was never told where Earnshaw was buried, preventing him from receiving recognition for his brief service.

Based on information Tubb discovered, the war graves commission placed a permanent granite headstone on Earnshaw’s grave last summer.

Officials said Harvey, who was nine when her brother died, will now be able to choose a personal inscription for her brother’s gravestone.

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Fonte: Radio Radicale

Sul sito di Radio Radicale e’ possibile ascoltare sia in streaming per 3 settimane,  che scaricare i video e/o gli audio della Commissione di Inchiesta britannica sulla guerra in Iraq che vede come unico testimone l’ex primo ministro britannico Tony Blair.

Buon ascolto!

Commissione Inchiesta Tony Blair

Articolo apparso su La Repubblica il 29 gennaio 2010

Blair difende la guerra in Iraq "Ma l'Iran oggi è più pericoloso" L’ex premier britannico Tony Blair

LONDRA – Con l’11 settembre cambiò tutto, compresa la percezione della minaccia rappresentata da Saddam Hussein. E la decisione di muovere guerra in Iraq viene rivendicata fino in fondo, “senza alcun rimpianto” da Tony Blair. Questa la linea esposta dall’ex premier britannico per giustificare l’intervento militare del 2003 nell’audizione davanti alla Commissione d’inchiesta sulla guerra in Iraq. Blair ha spiegato che in molti altri leader europei non trovò una percezione analoga della minaccia posta da “un regime brutale” che poteva avere accesso ad armi di sterminio. Durissima la reazione dei familiari dei soldati britannici rimasti uccisi nel conflitto, presenti all’udienza che hanno definito Blair “compiaciuto”, “poco rispettoso”, e con “il suo solito ghigno”. Un membro della commissione d’inchiesta, Sir Roderic Lyn, ha ribattuto che “Saddam non c’entrava niente con al Qaeda e con l’11 settembre”. La guerra in Iraq, dove Londra inviò 45mila uomini, resta uno dei momenti più controversi nei 10 anni di Blair alla guida del governo britannico e gran parte dell’opinione pubblica ritiene che l’intervento fu sbagliato e basato sull’erroneo presupposto che Saddam disponesse di armi di sterminio.

L’audizione. “Fino all’11 settembre pensavamo che Saddam fosse una minaccia, un mostro che rappresentava un rischio e facemmo del nostro meglio per contenerlo”, ha raccontato Blair, “dopo gli attentati questa percezione degli Usa e della Gran Bretagna cambiò drammaticamente”. “Dopo l’11 settembre, se tu eri un regime che aveva a che fare con le armi di sterminio dovevamo fermarti e questa era l’idea della Gran Bretagna, non degli Usa”, ha sottolineato. Nell’aprile 2002 “dissi al presidente Bush che la Gran Bretagna avrebbe affrontato insieme agli Usa la minaccia, posta da Saddam, con le sanzioni, le ispezioni e, se si fosse arrivati a quello, con la forza militare”, ha rievocato.

La protesta. Blair, giunto con quasi due ore di anticipo al Queen Elizabeth Centre per le due audizioni del mattino e del pomeriggio, è entrato da un ingresso secondario per evitare i circa duecento manifestanti e parenti di caduti in Iraq assiepati all’entrata. I dimostranti, che issavano cartelli come “Criminale di guerra”, hanno poi dato le spalle all’edificio durante l’audizione, durata sei ore, e uno di loro ha letto i nomi di civili e militari morti in Iraq.


Il pericolo Iran
. L’ex premier, ora inviato del Quartetto per il Medio Oriente, si è soffermato sulle minacce alla stabilità regionale che ora a suo avviso arrivano soprattutto dall’Iran e da realtà come Afghanistan, Yemen e Somalia dove ci sono “legami molto forti” tra le organizzazioni terroristiche e i Paesi che li ospitano. L’Iran del 2010, ha detto Blair, è più pericoloso dell’Iraq del 2003. Denunciando il pericolo posto dal programma nucleare di Teheran e dai legami di quel paese con gruppi terroristici, “la mia opinione è che non si possono correre rischi in questa vicenda”, ha ammonito, lasciando intendere che ogni opzione dev’essere lasciata aperta. “Quando vedo questi legami con gruppi terroristici, direi che una gran parte della destabilizzazione nel Medio Oriente viene dall’Iran”.

Il patto con Bush. Blair ha negato di aver mai stipulato “accordi segreti” con Bush sull’intervento in Iraq. E ha ricordato che dopo il famoso incontro con l’allora presidente americano in Texas, nell’aprile 2002, non fu fatto mistero che si fosse convenuto sulla necessità di risolvere il problema Saddam “con un metodo da decidere”. Blair ha difeso con forza la scelta di partecipare all’intervento. “Qui non si parla di una menzogna o di una cospirazione o di un inganno”, ha insistito, “è una decisione. E la decisione che dovetti prendere era: data la storia di Saddam, dato il suo uso di armi chimiche, dato il milioni di morti che aveva già causato, dati i 10 anni di violazioni di risoluzioni Onu, possiamo prenderci il rischio di lasciare che quest’uomo ricostituisca i suoi programmi di armamenti o è un rischio che sarebbe irresponsabile prendersi?”. In conclusione, “nessun rimorso” per aver avviato la guerra al fianco degli Usa.

La reazione dei familiari dei soldati morti. “Si sta dimostrando molto sicuro delle sue idee, e questo ce lo aspettavamo”, ha detto Sarah Chapman, sorella del sergente Bob O’Connor, caduto cinque anni fa mentre era di stanza in Iraq. “Ma appare ormai chiaro che non ha condiviso tutti i documenti con gli altri ministri del Gabinetto nei mesi che hanno preceduto la guerra. Sono disgustata. E’ ovvio che ha agito per conto suo”, ha aggiunto. “Io chiedo solo che mi guardi negli occhi e mi dica che gli dispiace”, ha dichiarato invece Theresea Evans, madre del 24enne Llywelyn, morto nel 2003 in seguito all’abbattimento del suo elicottero. “Invece Blair sfoggia il solito ghigno”. Ancora più dure le parole di Andrew Murray, presidente dell’associazione pacifista Stop the War Coalition. “Le vere domande a cui Blair deve rispondere dovrebbero essere quelle del tribunale dell’Aia per crimini di guerra”. “E’ un attore consumato – ha proseguito – ma credo che la maggior parte delle persone abbia ormai riconosciuto il suo copione”.

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