Fonte: minareti.it
(04 marzo 2011)
“La politica della paura nei confronti dell’Islam si può vincere”. Questa la buona notizia con cui Giancarlo Bosetti, direttore di Reset DOC, ha introdotto la presentazione del libro di Stefano Allievi “La guerra delle moschee. L’Europa e la sfida del pluralismo religioso” nello scenario della sala conferenze del Centro Studi Americani il 3 marzo. Stefano Allievi, sociologo delle religioni che da un quarto di secolo si occupa di studi sulle comunità musulmane in Occidente, spiega come l’idea della ricerca, i cui risultati sono esposti nel volume edito nella collana I libri di Reset – Marsilio, sia nata dalla “constatazione che oggi si assiste a dei problemi con le moschee anche nei paesi in cui tradizionalmente non ci sono state questioni con la presenza musulmana, come ad esempio l’Austria”. L’Austria infatti è un paese nel quale la comunità islamica è una comunità riconosciuta e in cui la religione islamica è insegnata anche nelle scuole. Eppure, proprio questo paese ha addirittura preceduto la Svizzera – sebbene la notizia non abbia avuto la stessa risonanza mediatica – nel vietare la costruzione di minareti in due delle sue regioni, la Carinzia e il Voralrberg. Dalla ricerca portata avanti nella stragrande maggioranza dei paesi europei, Allievi e il team di collaboratori hanno riscontrato un numero di luoghi di preghiera islamici comparabile a quello delle altre religioni. “Possiamo dire che la libertà religiosa è grossomodo garantita in Europa – ha dichiarato il sociologo -. Tuttavia bisogna notare come le strutture in questione siano precarie e come ci sia sempre più spesso qualcuno che metta in discussione questa libertà”. Allievi ha voluto indirizzare l’attenzione del pubblico su alcuni fattori preoccupanti in questa “guerra delle moschee”: l’uso di modalità simboliche spesso molto forti (spesse volte collegate alla presenza di maiali – animale la cui carne è considerata haram dai musulmani – per desacralizzare il suolo della moschea); il ritorno delle categorie di purità e impurità nel discorso politico; e quello che il sociologo chiama “l’eccezionalismo islamico” che spinge la società a vedere l’Islam e i suoi fedeli come una realtà con la quale bisogna interagire in maniera particolare e prevedere leggi nuove. All’introduzione dell’autore del libro hanno fatto seguito gli interventi di tre musulmani. Khalid Chaouki, direttore di Minareti.it, ha calato nel concreto della vita interna della comunità musulmana italiana il bisogno di ripensare sia la figura dell’imam che quella del luogo “moschea”. “Noi musulmani – ha commentato Chaouki – dobbiamo confrontarci oggi con il nostro passato ma dobbiamo anche capire come pensare una moschea italiana con nuovi criteri”. Anche Alessandro Paolantoni, segretario dell’Unione delle Comunità e Organizzazioni Islamiche in Italia UCOII e rappresentante della moschea al-Huda di Roma si è pronunciato sulla questione moschea: “Per la comunità islamica non è una priorità avere una cupola o un minareto. E’ più urgente fare emergere delle moschee in luoghi che siano dignitosi, sul piano stradale e facilmente raggiungibili affinché questi luoghi favoriscano anche la frequentazione dei non musulmani”. Presenti al dibattito anche Mario Scialoja del consiglio di amministrazione della Grande Moschea di Roma e Massimo Rosati, docente di sociologia delle religioni presso l’Università di Tor Vergata. Come presidente del comitato scientifico di Reset DOC ha partecipato alla discussione Giuliano Amato che ha tirato le fila del dibattito. “C’è una politica attiva di integrazione da realizzare e per portarla avanti bisogna sgomberare il campo dai problemi fasulli e concentrarsi sull’adattamento reciproco che richiede un lavoro comune”. Insomma, minareto sì o minareto no? Per i relatori presenti ieri il quesito non è fondamentale. Ma il fatto che venga posto la dice lunga sulla nostra società e sui veri problemi alla base delle relazioni con questa “eccezione islamica”.
Su Radio Radicale l’audio della conferenza (e’ molto interessante e vi consiglio di ascoltarla)
Nel post intitolato “Jean Jaques Jihad” si analizza il rapporto fra Islam e ideologie politiche di sinistra; la nascita dell’ UCOII mi sembra un esempio lampante a conferma di questa tesi. Da Wikipedia: l’Unione delle Comunità e Organizzazioni Islamiche in Italia nasce dalla fusione di diverse componenti, tra cui quella siriana e palestinese degli ex studenti dell’Unione degli Studenti Musulmani in Italia (USMI) assieme ad altri dirigenti provenienti da diverse esperienze, come ad esempio quella delle donne musulmane del collettivo Islam donne o quella di Hamza Roberto Piccardo, ex militante di Autonomia Operaia convertito alla religione islamica oltre vent’anni fa, attuale direttore della casa editrice Libreriaislamica.it. Inizialmente la presidenza è stata assunta da Nour Dachan,molti anni fa leader della componente siriana dei Fratelli Musulmani, e la segreteria da Ali Abu Shwaima, leader di quella palestinese; successivamente tale carica è passata a Roberto Piccardo. Qualche mese fa si e aperto un dibattito nelle moschee UCOII sul nuovo ruolo dell Associazione sul suo impegno sociale sindacale e chissa’ anche politico e sui problemi piu scottanti della comunita islamica . Fra le moschee della UCOII numerose sono quelle i cui dirigenti in qualche modo si ispirano all’ideologia dei Fratelli Musulmani, e per tali legami l’associazione è stata aspramente contestata. A sua volta l’associazione sostiene che tale legame è limitato alla militanza di alcuni suoi dirigenti nei rispettivi paesi d’origine, in periodi ormai remoti nel tempo, e che l’UCOII attuale fa piuttosto riferimento al Consiglio Europeo della Fatwa (organismo che è a sua volta accusato di essere vicino ai Fratelli Musulmani) e a sapienti, come il Mufti d’Egitto Ali Goma, all’Islam europeo, a Tariq Ramadan, alle elaborazioni delle femministe islamiche, agli scritti degli affiliati italiani e al lavoro giovanile e studentesco.