Citazione dal blog: Heresy Corner
State multiculturalism… is fundamentally… a job creation scheme. Its purpose is to provide work for quangos, bureaucrats, consultancies, administrators, target-setters, framers of legislation, enforcers, propagandists, advertising agencies, poster-designers and a high proportion of staff at the Guardian and the BBC. It provides work for Trevor Phillips. It also provides work for Melanie Phillips (for where would she be without multiculturalism to denounce?) State multiculturalism is premised… on using the laudable concept of non-discrimination to justify interference in ever-more areas of public, corporate and even private life, not because it wants to build a better society (although many of its practitioners have that belief) but because it provides its practitioners with a livelihood. Basically, it is a parasite. Like most successful parasites, it can thrive only at the expense of its host. And it will never be possible to persuade multiculturalists that they are wrong, for not only their personal philosophy but their homes and incomes depend upon keeping the show on the road.
Non e’ cosi? Il “multiculturalismo“, scusate se mi ripeto, non e’ che un sottoprodotto del “post-colonialismo” e del “globalismo”. Non penserete mica che le potenze occidentali abbiano mollato l’osso senza avere un piano di riserva che assicurasse loro di proseguire silenziosamente nelle loro rapaci pratiche? Le potenze europee avevano gia’ un piano programmatico eccezionale che avrebbe consentiro loro non solo di continuare a fare affari con le ex-colonie, ma di continuare ad espandersi altrove (globalizzazione) col beneplacido dei governi stranieri cui avrebbero anche garantito continuita’ al potere qualora fosse stato necessario (e’ stato fatto in diversi casi, vedi Libia e Tunisia ad esempio). Assieme a questa bella prospettiva si paventava pero’ un grande problema; i cittadini dei paesi industrializzati sarebbero diventati man mano sempre piu’ consapevoli dei danni causati dalla “globalizzazione” tramite ad esmpio lo sfruttamento irresponsabile delle risorse finite ed il conseguente inquinamento ambientale, la delocalizzazione delle imprese occidentali in Asia e le moderne forme di schiavitu’ che ne sarebbero derivate, l’aumento della disoccupazione in casa, il blocco della mobilita’ sociale ed il conseguente scivolamento in situazioni di decift budgetario cronico per lo stato, lo spostamento di masse dai paesi non industrializzati verso l’occidente, la problematica gestione dei flussi migratori, le incognite dell’incontro con culture molto diverse tra loro, e non dimentichiamo la minaccia terrorista con il suo corollario di implicazioni politiche sociali ed economiche.
Si doveva trovare il modo per rendere attraente e giustificabile questo “nuovo colonialismo”; gli stati occidentali avrebbero perso molto se non avessero trovato il modo per avere un ritorno economico ed un modo per vincere il favore dei cittadini. Alla fine dell’ ottocento iniziano cosi’ a fare capolino le prime multinazionali, alcune delle quali di cruciale importanza geopolitica ed economica strategica per gli stati come le compagnie petrolifere; la BP ad esempio, nata come “Anglo-Persian Oil Company”. Per due secoli le compagnie petrolifere sono state la lunga mano delle ex potenze coloniali. Negli anni ’20 del 900 nascono altre corporazioni come la CBS, la GENERAL ELECTRIC, la BEST FOODS, la AMERICAN TOBACCO COMPANY, la PROCTER & GAMBLE e di pari passo cresce il numero delle organizzazioni non-profit a difesa delle minoranze e dei diritti dei lavoratori, delle donne e delle “liberta’” come la “Committee on Publicity Methods in Social Work“, la “Friends of Danish Freedom and Democracy“, la “NAACP” “National Associatiation for the Advancement of Colored People“. La fisionomia della vita politica e sociale stava cambiando e la necessita’ di trovare il modo per veicolare il consenso delle masse era impellente.
Ed ecco che un nipote americano di Sigmund Freud, Edward Bernays fa la sua comparsa. Bernays e’ l’inventore delle “relazioni pubbliche” della “propaganda” e del “marketing” e collaboro’ non solo con aziende e lobbies favorendone la crescita, ma anche con le associazioni sopra citate con politici e governi. E’ l’inventore del social engeneering, della pubblicita’, della cultura del comsumismo. Aveva ben compreso i meccanismi comportamentali umani e li sfruttava per creare consenso a pagamento per il beneficio di corporazioni e governi. Fu lui che tradusse le opere di Freud in inglese e favori’ la propagazione delle sue teorie psicoanalitiche in America.
Ecco cosa scriveva nel libro “Propaganda” del 1928;
The conscious and intelligent manipulation of the organized habits and opinions of the masses is an important element in democratic society. Those who manipulate this unseen mechanism of society constitute an invisible government which is the true ruling power of our country. …We are governed, our minds are molded, our tastes formed, our ideas suggested, largely by men we have never heard of. This is a logical result of the way in which our democratic society is organized. Vast numbers of human beings must cooperate in this manner if they are to live together as a smoothly functioning society. …In almost every act of our daily lives, whether in the sphere of politics or business, in our social conduct or our ethical thinking, we are dominated by the relatively small number of persons…who understand the mental processes and social patterns of the masses. It is they who pull the wires which control the public mind.
In “Manipulating Public Opinion” del 1928 si esprimeva cosi’;
This is an age of mass production. In the mass production of materials a broad technique has been developed and applied to their distribution. In this age, too, there must be a technique for the mass distribution of ideas.”
Ovviamente le consulenze di Bernays andavano letteralmente a ruba e il nostro si faceva pagare profumatamente. La sua fama era mondiale e cosi’ la sua influenza. Nel 1920 in Georgia si tenne la prima conferenza della NAACP in un clima pacifico e non violento grazie al grande contributo di Bernays, che aveva puntato la campagna sulla creazione del consenso dell’importanza del contributo dato dagli afro-americani ai bianchi nel sud di quello stato. Si tratta di bei successi, ma la creazione e la manipolazione del consenso ha creato anche danni. Basti pensare alla trovata di promuovere le sigarette come simbolo di emancipazione per la donna per aumentarne le vendite, mettendole in bocca alle attrici negli anni ’60, quando era sotto contratto con la AMERICAN TOBACCO COMPANY. Sempre in quell’anno mando’ delle modelle a confondersi fra le partecipanti di una parata per i diritti delle donne a New York. Al suo segnale queste accesero le sigarette davanti ai fotografi in gesto di emancipazione; “sono le torce della liberta‘” ebbe a dire ai fotografi. Negli anni ’50 alcune sue idee ispirarono l’India nella transizione democratica e concetti come liberta’ di stampa, liberta’ religiosa, liberta’ di espressione e di assemblea furono introdotte nella costituzione indiana. Bernays pero’ era un uomo d’affari ed i maggiori guadagni li faceva aiutando le corporations ad estendere il loro dominio all’estero. Vi siete mai chiesti da dove arrivi il termine “banana republic?“, ebbene il nostro per conto della UNITED FRUIT COMPANY (oggi Chiquita Brands Company) mise su una campagna propagandistica sulla stampa dipingendo il presidente guatemalteco Jacobo Guzman, democraticamente eletto, come un comunista ed una minaccia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Si disse che Guzman era un feroce dittatore che schiavizzava i suoi cittadini sfruttandoli come mano d’opera nelle piantagione di banane per poi far guadagni con gli Stati Uniti. Da qui il termine. Ovviamente gli Stati Uniti piu’ o meno innocentemente fecero quel che fecero con l’appoggio dell’opinione pubblica. Non tutti lo amavano; il presidente americano Roosevelt descrisse Bernays come un “professional poisoner of the public mind, exploiter of foolishness, fanaticism and self-interest“.
Ricapitolando, dopo il post-colonialismo e la creazione del consenso di massa e della societa’ dei consumi, eccoci arrivare alla globalizzazione. Come dicevamo le vecchie potenze occidentali hanno trovato il modo di continuare ad espandersi e prosperare e a farci credere anche che lo facciano per il nostro bene, per contravvenire ai nostri “bisogni” ed alle nostre “esigenze'”. Viviamo in un mondo interconnesso, piu’ piccolo e “vicino”. Tutto questo ha un prezzo pero’ ed ha delle conseguenze. Una delle conseguenze e’ lo spostamento di masse di persone nei paesi occidentali alla ricerca di lavoro e di una vita migliore ad esempio, perche’ i politici dei loro paesi dittatoriali o semplicemente corrotti o tutt’e due, non creano democrazia, liberta’ e lavoro. Potrebbero farlo; e’ una mezza verita’ dire che la colpa di queste situazioni sia solo delle ex potenze coloniali perche’ queste si sono affrancate concedendo loro l’indipendenza. Fatti loro quale forma di governo scelgono per il loro paese e se decidono di non distribuire gli introiti provenienti dai lucrosi guadagni ottenuti con contratti internazionali ai loro concittadini. Non si interviene piu’ direttamente nelle ex-colonie, se non quando queste diventano un pericolo per la nostra sicurezza, anche economica. Dicevamo che le ondate migratorie hanno creato ad alcuni perplessita’ e disagio, oltre che costi per lo stato e spesso problemi di sicurezza. Ed e’ qui che si e’ reso necessario coniare un altro termine tipo “torcia della liberta’”, uno slogan ed una filosofia che giustifichi e faccia sembrare attraente e desiderabile cestinare secoli di storia e tradizione in favore della creazione di una “societa’ aperta”, di uno ““spazio pubblico condiviso regolato da un ordinamento statale capace di garantire libertà individuale e responsabilità nei confronti della comunità“ come diceva il sociologo Aly Baba Faye sul Fatto Quotidiano esaltanto la bellezza del “navigare verso un futuro armonioso”. Ebbene quella parola magica e’ “multiculturalismo“. Siamo nel 2011 insomma, basta con i concetti di “nazione”, di “tradizione”, di “radici religiose” (ma che sei matto!). In italia poi, dopo le due guerre, il Fascismo, insomma non e’ tollerabile parlare di “amor patrio” come dice scocciato Alberto Mario Banti sul “Manifesto”. Bhe’, come diceva in principio di pagina “Heresy Corner” c’e’ una intera categoria di gente che vive e si paga il mutuo vendendo questo “prodotto”; giornalisti, poltici, sindacalisti, ONG, centri di mediazione inter-culturale etc. Per non parlare dei milioni che entrano in tasca alle mafie! Loro sono grandi fans del multiculturalismo! Perche’ e’ di questo che si tratta, di un prodotto preconfezionato che stanno pubblicizzando da almeno 30 anni. Oggi non sei al passo coi tempi se la pensi diversamente, sei datato e sei anche razzista; si sei un grande razzista se non ti va di diventare una minoranza nella tua citta’… Per esperienza diretta ritengo la mescolanza un grande arricchimento quando ci si rapporta con persone di una certa cultura o perlomeno di una certa apertura mentale capaci di curiosita’ e scambio, ma diventa una perdita quando il dialogo e’ reso difficile dalla chiusura e dalla diffidenza quando non addiritura da ostilita’. Il multiculturalismo lo vivo quotidianamente qui a New York e sono sposata con un cittadino est-europeo (tralascio di menzionare la permanenza in Germania e i numerosi viaggi e contesti internazionali vissuti) per cui mi sono fatta una idea chiara sul concetto. Ci sono casi in cui la convivenza non e’ possibile, non e’ ricercata neanche dalle altre etnie, che per difendere la propria identita’, rimangono inaccessibili. Il “ghetto” e’ nella mente e imprigiona chi vive secondo le sue regole; sia esso un credo religioso, o una errata concezione della realta’ e della liberta’. Chi lo dice comunque che tutte le culture sono uguali e che l’integrazione e’ sempre possibile? E’ una verita’ di fede o scientifica? E’ questo che non mi convince; questo mantra delle “societa’ aperte” cui secondo i benpensanti, le corporations, i media liberal e i miliardari “filantropi” come George Soros, dovremmo uniformarci tutti pena essere bollati come “razzisti” e “reazionari”. Chiudo con una citazione da Mario Vargas Llosa molto positiva ma realistica solo nel caso in cui una parte dell’umanita’ esca dal “ghetto” in cui ha chiuso la sua mente. Solo cosi’ puo’ trovare la forza e la voglia di “uscire dalla cava per raggiungere le stelle”;
Thus, the liberal I aspire to be considers freedom a core value. Thanks to this freedom, humanity has been able to journey from the primitive cave to the stars and the information revolution, to progress from forms of collectivist and despotic association to representative democracy. The foundations of liberty are private property and the rule of law; this system guarantees the fewest possible forms of injustice, produces the greatest material and cultural progress, most effectively stems violence and provides the greatest respect for human rights. According to this concept of liberalism, freedom is a single, unified concept. Political and economic liberties are as inseparable as the two sides of a medal.’
Cara, sono quasi totalmente d’accordo con te e grazie per aver condiviso questo personaggio, del quale ignoravo l’esistenza. Pur sapendo che già negli anni ’20 certe tematiche erano all’ordine del giorno (considerando che c’è ancora oggi chi pensa che 1984 sia venuto fuori dal nulla e sia un libro profetico… Probabilmente perché in pochi ricordano il buon Candido di Voltaire…), non conoscevo questo Edward Bernays.
Non comprendo però bene alcune cose che hai scritto, che riporto così magari mi chiarisci meglio. A partire dal fatto che concordo nel definire il multiculturalismo esattamente come hai fatto tu a inizio articolo.
1) Per iniziare, non è solo l’idea che “non sta bene” parlare di amor patrio in Italia. Il fatto è che, una volta che all’interno di un continente scompaiono le guerre interne, i confini diventano visibilmente inesistenti, arbitrari, frutto della mente di un uomo diverso.
2) Lo stesso tipo di consapevolezza, senz’altro unito alla tecnologia ed alle scienze di cui si dispone oggi sempre grazie agli Stati Uniti d’America che con i soldi più o meno sporchi non acchittano sempre e solo festini a base di coca e minorenni come da noi… dicevo, grazie a queste cose abbiamo potuto superare la “questione divina” con la possibilità di relegarne i concetti nel più ampio ed appropriato panorama della cultura passata. Prima del dio unico ce n’erano molti, prima di questi c’erano altre cose, la superstizione (il comportamento superstizioso) attraversa tutta la storia dell’uomo e degli altri esseri viventi. Li vedo in Martina, per dire, i primi abbozzi di comportamenti superstiziosi. 3 anni, e in casa propria non ha alcun tipo di esposizione a queste cose.
Rimane che restare ancorati a questa tradizione è una questione di informazione, istruzione, abitudini, nulla più.
3) a maggior ragione, sapendo di vivere in un mondo dove ciascuno vive grazie a ciascun altro, l’integrazione non è un “processo” in senso stretto. E’ un accadimento totale e continuo, le cui difficoltà derivano dal grado di immedesimazione nel proprio profilo sociale, disegnato da ciascun sistema nei suoi componenti fondamentali: aspetto, tradizioni, istruzione.
4) Perché “Ci sono casi in cui la convivenza non e’ possibile” se tutto è in continua integrazione? Magari, ho pensato, a New York c’è forse lo stesso tipo di multiculturalismo che c’è a Roma (in una scala diversa), dove ciascuna zona ha il proprio mono-multiculturalismo (ad esempio il “paradigma di Piazza Vittorio”, o nel mio caso Lunghezza che è praticamente Romania).
Nella grande mela, ma so che questo è un pregiudizio, più che “stare insieme” si divide “il nome” della città (e, conseguentemente, la città si divide in “quartieri nazionali”). Ad esempio, il multiculturalismo di cui parli è presente nelle scuole newyorkesi? O sono le famiglie che mandano avanti davvero il multiculturalismo, di fatto autoghettizzandosi e riversando queste cose sulla propria prole (così come facciamo noi con Martina, se hai tempo vai a leggere sul mio blog)?
Perché dipende tutto da questo. La multicultura è un valore che oggi purtroppo va insegnato nelle scuole, perché intanto è retaggio di quell’uomo diverso che non è più quello di oggi; in più non può essere insegnata “as is”, ma deve esserlo tramite gli aspetti delle molte culture che ormai popolano contemporaneamente la stessa “nazione” (a motivo ulteriore del primo punto) e devono trovare un loro veicolo di arricchimento reciproco.
Non c’è una cultura sbagliata, questo si sa.
Ma la multicultura è un “valore di passaggio”. La cultura umana è UNA, complessa e varia come nessun’altra conosciuta. Con tutte le conoscenze e gli studi davvero validi della fine del secolo scorso che finalmente oggi possiamo aggregare e diffondere, non è forse giunto il tempo adatto di tornare tutti insieme, proprio come fecero in evidente mancanza di mezzi i filosofi del periodo assiale da cui la maggior parte di noi proviene?
Buona giornata, scusami se sono stato prolisso. Ottimo articolo davvero! Saluti a casa!